Sunday 31 January 2010

Broken Stones

Like pebbles on a beach
Kicked around, displaced by feet
Ooh, like broken stones...
Quanti anni fa...due motorini, il mio Vecchio Lepre che, ahilui e ahimè, è stato rivenduto e conseguentemente rottamato. Che tristezza. Comunque, senza riperderci: due motorini, io e lui, in un posto insignificante, ma in qualche modo significativo per la mia vita, davanti a casa di un altro mio amico (il primo che mi ricordi nella mia vita) e a forse venti metri da casa mia. Sera, stelle, qualche birra in corpo e qualche discorso sui massimi sistemi, di quelli che vengono meglio quando si è amici per la pelle e si hanno 17-18 anni.

I caschi appoggiati, lui fuma, e dice: "Vedi, io sento i miei genitori che raccontano dei loro amici, delle cose che facevano da giovani, anche le pazzie come noi, insomma...e quando invitano qualche amico a casa non è mai uno di quegli amici, è sempre un collega di lavoro, o comunque qualcuno che hanno conosciuto più tardi...e gli ho chiesto perchè. E loro hanno detto: 'Beh, le strade si dividono, quando si diventa grandi, le cose si fanno più serie, e tante volte ci si perde di vista'. E allora mi sono detto che non voglio che succeda così, che io voglio che i miei figli conoscano voi, che siate i loro zii...lo zio Billie, lo zio Naska, lo zio Miccia, lo zio Buse...".

Quella notte di estate, con le stelle in cielo, i grilli e due poco più che adolescenti amici per la pelle che discutevano seduti sui loro motorini, non me la scorderò mai e poi mai. E quando mi disse questa cosa, io ero d'accordo con lui, e convinto che non avremmo mai e poi mai permesso che le nostre strade si allontanassero.

Crescere vuol dire anche trovarsi ad affrontare una serie di cose che mai avresti pensato potessero toccarti. Quelle cose che vedi nei tuoi genitori, nella gente più grande, che tutti ti giurano che facciano parte della crescita: "No, non a me, non può succedermi". Ne sei sicuro, lo giuri e spergiuri, in quella assurda e fragile sicurezza di sè che è la parte più importante dell'essere adolescenti.

Ero sicuro, per esempio, che quell'immagine con cui ho aperto il post sarebbe stata il mio tatuaggio indelebile (adesso non credo che lo farei neanche mai, un tatuaggio), simbolo della mitica Milkbar Gang, la compagnia che faceva capo alla mia vecchia band, i Korova Milkbar. Il simbolo l'avevo disegnato un sabato sera di fronte ad alcune birre rosse. United we stand, divided we fall, raise your glass and pay honour to the Milkbar Gang! E ti trovi a vedere che quella gente, ogni tanto la vedi, ogni tanto no, e cominciano a esser più frequenti le volte che la incontri per caso che quelle in cui ci esci insieme.

Però, ti dici, il nucleo, i veri amici, i veri fratelli, restano. A volte si: nonostante non mi sia mai confidato più di tanto con lui, nè lui con me, Naska è mio amico da quando io ho memoria del mondo. Da quando a cinque anni giocavamo insieme e litigavamo sedici volte in un pomeriggio. Da quando abbiamo fondato la nostra prima band. Da quando siamo andati in vacanza insieme in motorino. Da quando siamo andati a giocare insieme a rugby la prima volta. Da quando invece siamo andati in camper a Monaco per Capodanno. Da quando siamo tornati a suonare insieme. Nella mia vita, nonostante ci siamo persi di vista qualche volta, Naska c'è sempre stato.

Lui, invece, no. Conosciuto in quell'età in cui si sviluppano i rapporti più profondi e significativi, diventato il mio fratello, abbiamo temprato (o forse, sorge il dubbio, indebolito) la forza della nostra amicizia con momenti in cui l'abbiamo messa entrambi a repentaglio. Quante sbronze a sorreggerci a vicenda, quante delusioni, sempre a sorreggerci a vicenda, quanti cazzo di casini abbiamo combinato (più lui che io), quante cose abbiamo fatto insieme. A Monaco, con lui, ho vagato nottetempo a piedi, persa l'ultima metro, i nostri amici, e a 4 o 5 km dal camper. Due rugbisti ubriachi per le vie di Monaco alle 2 di notte con -10°C, cantando a scuarciagola per scaldarci...e l'abbiamo pure ritrovato, il camper. Insomma, culo e camicia, capaci di mandarci affanculo e di perdonarci, convinti di un legame che non si può recidere. Poi un giorno ti accorgi che siamo come i ciottoli di una spiaggia. Una delle cose che ci hanno avvicinato, ironia della sorte, da una pedata alla spiaggia e fa volare i due ciottoli in direzioni diverse.

Ripensarci mi ha fatto riflettere sull'imprevedibilità delle strade che prendiamo, sulla mia abilità di conservare rapporti (mi rendo conto che forse non sono una bravissima persona a gestire gli allontanamenti), sulla natura stessa della nostra amicizia. E su com'ero in quegli anni, in cui sotto il mio culo il più delle volte c'era uno scooter, in cui mi cibavo costantemente di musica e di birra, in cui combinavo più cazzate di quanto oggi mi sembri possibile. Di quando davo un'importanza al fatto di avere una persona da chiamare "migliore amico". Il mio migliore amico era lui, Yusuf Barbarossa (questo ha una sua storia, come un sacco di cose della nostra amicizia, e forse è giusto che la capiamo solo noi due, e pochi altri). Lui:
Il secondogenito Ramone, Yusuf Barbarossa, accanito disertore di lezioni scolastiche, ancora in prima nonostante i suoi diciott'anni, appare in carne, ossa e pancetta alcoolica, avvolto nell'onnipresente felpa dei Ramones. Già, signore, la felpa dei Ramones del Barbarossa!
Non credo, nè voglio credere, che queste nostre strade, che si sono divise in maniera così triste, non si incroceranno di nuovo. Non so nemmeno se, incrociandoci nuovamente, il rapporto potrà mai essere lo stesso. Non so giungere a conclusioni. Ripenso solo a quella sera, e a come era bello sentirsi cani randagi che ululavano alla luna.
As another piece shatters,
another little bit gets lost...
and what else really matters
at such a cost?
***

Quasi quasi sono stato tentato di cambiare la canzone di oggi, quando ho scritto dell'ululato alla luna, e di mettere Howling at the Moon (Sha-la-la) dei Ramones. Avrebbe avuto un senso, anche contanto quanto contavano i Ramones per noi. Però questo post è stato concepito guidando di ritorno da Bergamo, in macchina, e volutamente con l'accompagnamento di questa canzone tratta dal disco Stanley Road di Paul Weller. Canzone con un'atmosfera giustamente malinconica, dalla quale ho tratto alcune delle citazioni e il titolo del post, e che parla proprio di ciottoli di una spiaggia scaraventati lontani dai piedi. Pietre rotte, Broken Stones.

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