Saturday 22 May 2010

Run, Fatboy, Run!


There comes a point in every race, it could be the fifth mile, could be the twenty-fifth, but eventually you're gonna hit what runners like to call "the wall", and when you do, you won't be able to breathe, or to think, or even move. All you're going to want to do is give up.

Lui è un tipo normale. Un po' testa di cazzo, perchè i film britannici ovviamente devono farci affezionare a delle amabili teste di cazzo. E poi perchè Simon Pegg non sarebbe credibile altrimenti. A proposito, io adoro Simon Pegg, andatevi a vedere Hot Fuzz, Shaun of the Dead, Big Nothing e per Dio, scaricatevi entrambe le serie di Spaced, sono geniali (o almeno la puntata 1x04 intitolato Battles per vedere la migliore parodia di un film di guerra che si sia mai vista)! E già che stiamo parlando filmicamente, David Schwimmer, che compare anche in Big Nothing (e mi fermo qui, perchè se comincio con i collegamenti tra l'attore che è apparso qui o là, non la finiamo. Però c'è David Walliams di Little Britain che fa una comparsa, ed è comparso anche in una puntata di Spaced, per dirne una. Mentre Dylan Moran, che fa l'amicone del protagonista, era anche in Shaun of the Dead. E David Schwimmer ha diretto alcuni episodi della serie Little Britain USA. E se continuiamo con i fili arriviamo a I Love Radio Rock, The IT Crowd, Father Ted, e mi fermo qui sul serio), dicevo, David Schimmer - noto ai più come Ross di Friends, è il regista, e ha un cameo verso la fine.

Dicevamo di Dennis Doyle, il tipo normale, testa di cazzo, pieno di difetti. Lascia la promessa moglie incinta sull'altare, e abbandona ogni cosa che abbia mai cominciato ("Come on, you've never finished anything in your entire life, Dennis" - "Aw, no, you...that's not..." - "You can't even finish a sentence!" - "Oh, don't...don't...you're just being, you know...what's the word?"). Poi, punto nell'orgoglio e desideroso di riguadagnare il rispetto e l'amore di lei e del figlio, si mette a correre per partecipare a una maratona benefica (indossando la maglietta della National Erectile Dysfunction Awareness). Per dimostrare a se stesso di non essere un perdente, un codardo, un rinunciatario. A quitter, come si dice in inglese.

Mi ci sono trovato. Ci sono tante cose in cui devo riguadagnare il rispetto di me stesso, la voglia di crederci, la spinta ad essere all'altezza delle situazioni. E poi oggi, vedendo la Como Nuoto, la squadra di pallanuoto che seguo per lavoro, pareggiare a cinque secondi dalla fine, dimostrando carattere e nervi, ho ragionato su quello che a me piace dello sport. Perchè le mie partite preferite sono quelle giocate punto a punto, con magari poche azioni strabilianti, ma tanta tensione? Con magari poche mete, ma tanta pressione? Perchè lo sport è battere, prima di tutto, se stessi. E qui non si può dare spettacolo, è e sempre sarà guerra di trincea, un finale ai rigori, una guerra di nervi tra Toldo e gli olandesi, un vantaggio di due punti mantenuto fino alla fine con i denti, un pareggio fortemente voluto e raggiunto con il tempo che scivola via, una tripla di Terrence Rencher a due secondi dalla fine, una meta liberatoria dopo tanti centimetri sudati e dopo esser stati respinti tante volte. Forza di nervi, forza di carattere, forza su se stessi. Il catalogo del pugile diceva: La costanza nella preparazione atletica ti garantisce la vittoria più importante, quella su te stesso, ma penso valga anche oltre alla boxe. Costanza: ecco quello che mi è mancato. E preparazione. Quello che ti fa sentire confidente, adeguato, all'altezza della situazione. D'altronde uno dei motti che preferisco è Fail to prepare, prepare to fail.

Sono stati giorni piuttosto snervanti, come sa chi ha saputo starmi vicino e ha sopportato i miei sbalzi di umore. Forse quello che mi snerva tanto è che...essere una bella persona fino a un po' di tempo fa mi pareva non mi costasse nessuna fatica, mentre ora mi sembra tante volte uno sforzo oltre le mie capacità, e che la pigrizia tante volte abbia la meglio su di me. Un po' la sensazione è quella di aver corso fino al muro, e ora ci vuole tutta la determinazione di cui sono capace per rimettermi in piedi a correre. Ci vuole lavoro che non da i suoi risultati in un giorno, ci vuole la voglia di vedere una persona cambiata e cresciuta allo specchio, ci vuole la voglia di dimostrare qualcosa e di non arrendersi di fronte alle difficoltà (come mi sono sentito lui nella scena in cui si impone di svegliarsi alle sei di mattina e quando si alza sono già le otto). Ci vuole anche la capacità di correre: "Go on then, run!" - "Isn't there some kind of...like...special technique?" - "Well, yeah...you put one leg in front of the other over and over again really really fast!". E soprattutto, ci vuole un grasso indiano con una spatola a fare da assistant coach. Run, fat boy, fuckin' run!

"You don't think I'm gonna finish, do you?"
"No, I don't."
"Why not?"
"'cause it's really hard, Dennis, and it requires a couple of things that, forgive me, but you don't seem to possess..."
"I happen to have a nice pair of running shoes, now thank you very much!"

***

Tra le canzoni della colonna sonora del consigliatissimo Run, Fatboy, Run! (consigliatissimo come tutti gli altri film e serie televisive che contengano o siano lontanamente correlate a Simon Pegg) c'è anche una delle canzoni dei Kaiser Chiefs che preferisco, Everyday I Love You Less And Less. Ci sta, in questo periodo, un po' perchè sto lavorando sodo a uno speciale sulla Coppa del Mondo, e il gruppo prende il nome dai Kaizer Chiefs, la squadra di calcio di Soweto, la township di Johannesburg, e un po' perchè il titolo esprime bene il sentimento di insoddisfazione verso se stessi che sto affrontando. Dedicata a tutti coloro che corrono per sensibilizzare la gente verso la disfunzione erettile.


Thursday 6 May 2010

Home is where your heart is...


25 aprile, è appena finita la partita. Lei era lì, mi guardava da bordo campo. Due anni da un giorno speciale fatto di Tiramisù, Firenze, tramonti e nutrie, gelati, emozione, paura e un bacio. 25 aprile come il giorno della partita raccontata da Paolini, in uno spettacolo sempre capace di farmi battere il cuore e bruciare gli occhi. E Lei per la prima volta mi vede scendere in campo con quella maglia nuova, con due calzettoni uguali. Chi gà vinto? Noi, Trevisin, 42-21. Che giorno è? 25 aprile. La mia prima vittoria di fronte ai Suoi occhi. La mia prima vittoria con quella maglia nuova. Io spossato, il ginocchio, il tendine del polpaccio, non c'è nulla che vada bene quando entro in campo con la maglia numero 18. Il caldo, e io sragiono e son già a corto di fiato. E sono nervoso, quasi bloccato: non ho quasi chiuso occhio la notte, mi son svegliato presto per andarLa a prendere all'aeroporto, non ho mangiato come avrei voluto e non ho smesso di tremare un attimo. L'unica mezz'ora di sonno sereno l'ho fatta sul divano-letto, con Lei tra le mie zampe. Home is where your heart is...

In macchina, mentre andiamo al campo, è un momento che avevo immaginato spesso, chiedendomi come avrebbe reagito lei a vedere un matto che maltratta il volante e grida a scuarciagola, e si tende di brividi all'inno gallese o a Cochise degli Audioslave sparate ad alto volume. La chiamata dell'allenatore mentre imbocco l'uscita della Milano-Meda, risponde lei. "La partita è stata anticipata di un'ora". E se ne va anche quell'attimo di rilassamento pre-partita nel parcheggio che serve a star tutti un po' più tranquilli. Guido lo stretching, guido il riscaldamento della mischia. Respiriamo insieme, dopo aver fatto un po' di pick'n'go, a un attimo dal fischio dell'arbitro. Respiriamo insieme perchè è importante che una mischia spinga dalla stessa parte, utilizzi la componente maggiore delle proprie forze per spingere, sia come un uomo solo. Respiri all'unisono. Mi ricorda sempre come respiravamo all'unisono a Tradate a inizio della scorsa stagione. Sono io a dare il ritmo. "Respirare è il primo atto di libertà" diceva un proverbio cinese che citava sempre Enz Off. Home is where your heart is...

Mi ricordo però quant'è bella la sensazione di tenere in mano la palla ovale, quanta forza ti da avanzare a testa bassa mentre gli avversari cercano di abbatterti. Mi ricordo anche cosa mi faceva giocare con più forza e determinazione: la voglia di fare meta, il bisogno di essere vicino al pallone, di avere la possibilità di riceverlo...come mai quasi scappavo quest'anno? Vicino alla meta ci arrivo anche un paio di volte, nel groviglio della mischia. Gigi non la scarica in tempo, Sequoia invece va a farla lui di prepotenza, e in quella maul troppo disordinata in area di meta non riesco a farla uscire in tempo dal cespuglio di mani. "Billie, quanto ne hai ancora?". Sono distrutto, ho paura di fare più casini che altro, penso sia giusto che qualcuno prenda il mio posto. Non ancora però: "Cinque minuti, Mario", gli faccio segno. E proprio a quattro minuti e cinquantanove Fuser sta male, e viene sostituito al posto mio: devo tirare ancora quella decina di minuti che ci separano dall'80'. E' dura, loro si rifanno sotto, io ho paura che perderò ancora. Chiedo all'arbitro quanto manca, ormai allo stremo. E al fischio finale scoppio in lacrime. Non mi succedeva da un anno, da quando ero da quell'altra parte. Riconosco la sensazione di piangere senza riuscire a fermarmi a fine partita. E vado a placcare Silvia. E non vorrei uscire dal campo. Mi siedo sulla panchina con lei, e lei mi dice di non fare lo scemo, di andare a festeggiare con gli altri. E Marietto, l'allenatore, mi dice che ci ho messo le palle. Mi sento a casa. Home is where your heart is...

E penso ai dubbi che mi stanno attanagliando, al desiderio che ho sentito di tornare sui miei passi. Mi accorgo di quanto mi senta emotivamente instabile. E' difficile capire da che parte vuoi stare, alle volte. Sembra una cosa automatica, ma non è così. Orso mi disse che in genere il cuore ha sempre ragione...e se il cuore è indeciso e la razionalità non ti da segnali decisivi, cosa combini? Forse è la paura di non riuscire a dare quel che voglio nel rugby, forse una sensazione di distanza dovuta al fatto che li conosco da meno tempo, che non ho quel rapporto totale che avevo con gli altri, che non c'è una sede a farci da seconda casa. Famiglia e amici, è il parallelo che viene più naturale. Mi ha fatto piacere se non altro sentire dalla "famiglia" che le porte rimangono sempre aperte, nonostante quanto successo, e mi ha fatto piacere ricordare e rendermi conto dei motivi per cui l'ho sempre considerata una famiglia. Home is where your heart is...

Allo stesso tempo c'è una squadra che mi ha accolto e che, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti, ha vissuto comunque con me. I colori, in fondo, sono gli stessi, e son gli stessi del tuo cuore gialloblù. E' la passione che è cambiata, o forse la difficoltà di guardare dentro se stessi e capirci qualcosa. Capire chi veramente si è. Pat Sanderson, il capitano dei Worcester Warriors, ha detto: "We will learn more from relegation than we will in any other way. It's when you are at your lowest that you find out the most about yourself". In questa stagione forse ero al mio lowest, e forse è quello che mi deve far capire qualcosa riguardo a me stesso. Credo mi stia facendo scoprire tanto, ma credo che sia difficile da riordinare, analizzare e capire. Ci metterà un po' questa catarsi. Mi sta dicendo che ho bisogno di un ambiente particolare per esprimermi? O mi sta dando i mezzi con cui riuscirò a esprimermi anche in un nuovo ambiente? E qual'è il mio obbiettivo? Quest'anno sono stato anonimo, ho provato più incertezze e paure che passione, nel rugby. Ed è quello che io non sono, o non sono stato finora e non mi piace essere. Devo ritrovare proprio quel me stesso, quello che darebbe di tutto per poter tenere in mano una palla ovale. Home is where your heart is...

Poi c'è la terza incognita, che è la voglia di partire. Sto partendo attraverso i libri, da un po' a questa parte, cercando di volare nel Caucaso, in Jugoslavia, a Israele con la mente. Con la voglia di partire veramente, scoprire nuovi posti, nuove storie, cambiare la routine inconcludente di questo periodo. Provare a giocare a rugby in una lingua diversa, perchè no? In fondo ogni volta che si profila una benchè minima possibilità di partire la prima cosa che faccio è vedere se c'è una squadra di rugby. E la seconda è sperare che vesta il gialloblù. Belgio, Svezia, Baltico, Jugoslavia...partire. Voglia di una nuova casa, di un posto in cui costruire un nuovo me. Anche se ho visto che è difficile, anche solo ovalmente, e quanto sia dura costruirsi la fiducia in nuovi sostegni. Home is where your heart is...

"Io non ho radici, la mia radice sei tu", mi ha scritto una volta. Stanotte, dopo aver tanto letto il libro che tanto L'ha appassionata e aver passeggiato per le vie di Tel Aviv e Gerusalemme e per il campo profughi di Al Amari in compagnia dei personaggi che mi voleva far conoscere, mi son svegliato di soprassalto. Certo, la scomodità e il dolore di dormire con una spalla insaccata. Ma anche la voglia che sul divano-letto ci fosse Lei, a tranquillizzarmi e farmi poggiare la testa sul Suo petto per carezzarla. La sensazione che Lei dovesse essere lì con me, e che lo fosse. Home is where your heart is...

***

La frase del titolo viene da Home degli olandesi Heideroosjes, ma benchè quella frase sia rintronata nella mia testa diverse volte in queste settimane, e rintroni molteplicemente per il post, ho cercato un'altra canzone che parlasse di "casa", e di sentirsi un po' lontani. L'ho sempre considerata una canzone di speranza: siamo a meno di un miglio da casa, ci siamo quasi. Mi fa venire in mente immagini di fango, we are within ten inches of the try-line. Anche se dopo ogni linea di meta c'è un nuovo calcio d'inizio, e nel rugby come nella vita (come direbbe Paolini), non ci si può mai permettere di abbassare la guardia: life is a thankless struggle. Lo sto imparando pian piano, e la partita contro il Rhaudum è stata la dimostrazione. Dopo quattro mete non puoi sentirti arrivato, devi continuare e andare avanti, non importa quanto vantaggio tu abbia. Però la sensazione di esserci quasi, il raccogliere le ultime forze quando si è allo stremo, è una delle più grandi emozioni che ci vengono concesse, credo. Quindi la scelta è ricaduta su Within a Mile of Home, dall'omonimo disco dei Flogging Molly.