Friday 3 September 2010

Orphans

I have given you the blood and the truth
from the wounds they laid onto me
And whatever they left, well, I kept it for my own heart

But the clothes I wore
Just don't fit my soul anymore

And we were orphans before
We were ever the sons of regret

Mi son sentito un po' colpevole a dirglielo, quasi me ne stessi andando furtivo come un ladro. Quella è stata la parte dura, ma loro sono stati grandiosi e mi han fatto capire che gli basta la mia amicizia, e che io non scompaia. Sanno che il mio gialloblù è di un'altra tonalità rispetto al loro, e hanno rispettato la mia scelta. Il soldato Billie torna a casa, torna a combattere sulla terra arida e dura dell'Uslenghi, torna a sedersi sul suo sgabello in Sede, torna a giocare nel posto dove più si è sentito il cuore in gola con una palla da rugby in mano. Non è stata una decisione facile: i ragazzi di Seregno mi mancheranno, e mi son rimasti anche loro nel cuore. Però un anno di assenza e qualche mese di stop, tra spalla insaccata e un po' di pigrizia, mi hanno aiutato a capire quale sia la mia squadra.

E allora il venti agosto, tra zanzare e caldo, alla rotonda del Borak il volante non ha girato a sinistra, ma ha preso la via a destra, per andare verso strade già calcate centinaia e centinaia di volte. Con un disco dei Gaslight Anthem a manetta, con il cuore che saltava nel petto, con l'emozione di uno scolaretto al primo giorno di scuola. La strada è cambiata da quando l'avevo percorsa l'ultima volta con il borsone nel bagagliaio: una deviazione, uno spartitraffico, ma non è quello l'essenziale. L'essenziale è quell'ingresso, il ricordare le mille emozioni, discordanti, provate nelle mille volte in cui l'ho varcato. Ricordarsi i mille ritrovi di inizio anno, la loro ritualità. Ricordarsi com'era stare in quello spogliatoio, anche se ora è stato ripiastrellato e ristrutturato per l'ennesima volta. Ricordarsi gli sguardi di quella gente che ti ha visto crescere, che ti ha tenuto la mano mentre tu cercavi di abbattere i tuoi limiti, che ti ha incoraggiato o spronato quando qualche placcaggio ti aveva lasciato a terra.

Sguardi che hanno anche giudicato, quando tu hai fatto scelte difficili da digerire. E d'altronde, non poteva essere diversamente, dato che anche tu in qualche modo stavi giudicando loro, senza renderti conto che, nonostante le difficoltà, gli screzi, le polemiche e quello che non riuscivi a mandare giù, l'anima era sempre quella. Si tratta, alla fin fine, di scelte. Alcune giuste, alcune sbagliate. Strappi da ricucire, e magari rimarrà la cicatrice. Ma l'importante è che i lembi siano riavvicinati, poi le ferite guariscono, se val la pena curarle. Sguardi, anche, che non avevano stortato le ciglia a quelle scelte, ma che ti avevano augurato le migliori fortune. E che ora brillano nel vederti tornato, nel poter godere nuovamente della tua compagnia in spogliatoio. I primi a farti sentire a casa. Sguardi nuovi, di gente che ti ha visto solo di sfuggita, che è arrivata mentre eri via. Nuovi compagni, nuovi fratelli. Che famiglie allargate che si ritrova un rugbista...

Uno sguardo, in particolare, nuovo. Brunetto, l'allenatore arrivato mentre tu facevi bagagli e nulla osta, con cui hai fatto pochi allenamenti, a cui hai comunicato le tue intenzioni. L'ho sempre rispettato per come mi aveva risposto. "Apprezzo che tu sia venuto a dirmelo, perchè questo fa di te un uomo: perchè un uomo ha il coraggio delle sue parole e dei suoi gesti". Non aveva voluto convincermi nè a restare nè ad andarmene: "Devi fare quello che credi ti renderà più felice, e se non senti più di essere felice qua, è giusto che provi ad andare da un'altra parte". Aveva fatto, a uno dei pochi allenamenti a cui avevo partecipato, un discorso sulle serrature che abbiamo dentro, quelle mentali: cose che siamo in grado di fare, ma che consideriamo impossibili e allora teniamo chiuse. Diceva di voler cercare di aiutarci a scassinarle, queste serrature. E' quel che ho sempre pensato che il rugby mi stesse aiutando a fare. Eppure, nella vita e nel rugby, in quest'anno sentivo i lucchetti chiudersi in maniera asfittica attorno a me. Penso sia il momento di invertire la tendenza. E mi son sentito veramente tornato a casa quando, sorridendo, mi ha detto: "Bentornato, Billie". Bentornato a casa.

***

Mentre, in preda all'emozione esaltata e timorosa, percorrevo le ultime centinaia di metri che mi separavano dal campo, stavo ascoltando l'ultimo disco dei Gaslight Anthem. In particolare la canzone era Orphans, che penso si addica allo stato d'animo di chi si è sentito "lontano da casa", nonostante fosse stato accolto a braccia aperte in un bell'ambiente. We were orphans before we were even the sons of regret...



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